lunedì 2 giugno 2014

L'ira

Lucio Anneo Seneca
BUR 1998

Introduzione, traduzione e note di Costantino Ricci
Testo latino a fronte

Classificando l'incapacità di adirarsi come una forma di debolezza Aristotele aveva insegnato a non considerare l'ira una passione negativa, ma a riconoserne, quando fosse disciplinata dalla ragione, una funzione nella dinamica sociale. Addirittura secondo una citazione, probabilmente inesatta, riportata da Seneca, l'ira si sarebbe trasformata, nelle riflessioni aristoteliche, in una componente indispensabile della virtù, nello stimolo stesso a compiere grandi imprese. Invisa invece alle dotrine stoica ed epicurea che ammonivano l'uomo a controllare, tra le passioni e gli eccessi, anche le esplosioni della rabbia, auspicandone il totale sradicamento dall'animo, l'ira è anche per Seneca violenza cieca e sregolata, legata ad atteggiamenti colpevolmente sospettosi o suscettibili, figlia di un eccesso di orgoglio, portatrice di effetti funesti. E dell'ira il trattato si propone di insegnare il dominio, nel duplice aspetto di capacità di controllare se stesssi e di attitudine a frenare gli altri. Scritto sicuramente dopo la morte di Caligola (41 d.C.) e con ogni probabilità durante il periodo dell'esilio, il libro sull'ira appartiene al gruppo dei dialoghi filosofici senecani, testi dedicati alle passioni e alle attitudini umane, strutturati in forma di dialogo al fine di evitare la monotonia di un'esposizione continua, e di sfruttare la vivacità che il dibattito e la contrapposizione di tesi diverse consentono di raggiungere

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