mercoledì 18 giugno 2014

Anabasi di Alessandro

Arriano
BUR

Testo greco a fronte
Non sono molti i libri di avventure che dall'antichità classica siano giunti fino a noi: l' ""Anabasi di Alessandro"", scritta da Arriano a cinque secoli di distanza dagli avvenimenti che vi sono narrati, rappresenta uno dei modelli di più alto profilo. Fuori da ogni equivoco, si tratta di un'opera di storia che perciò degnamente sta alla base di un capitolo tradizionale, quello su Alessandro Magno, della storiografia moderna sul mondo antico. Flavio Arriano, nato a Nicomedia in Bitinia fra l'85 e il 95 d.C., svolse al servizio dell'impero romano un'importante carriera politica e militare: la pratica acquisita personalmente sul campo di battaglia gli consente di ricostruire per il lettore, naturalmente con i concorso delle dirette testimonianze scritte di cui egli dispone, le tattiche di combattimento, le mosse, gli espedienti, la vita d'accampamento degli eserciti condotti da Alessandro. Ma forse non è in questo che si deve ricercare l'anima del libro: la sua natura avventurosa non dipende da una passione dello scrittore per le tinte forti, per il romanzesco o il favoloso, bensì dalla straordinaria vicenda umana e per certi versi divina del giovane sovrano macedone. Nell'arco di poco più di dieci anni, dal 334 al 323 a.C., Alessandro compì un impensabile periplo di conquista del continente asiatico, arricchito da una lunga deviazione in Egitto fino all'oasi di Siwa, sede oracolare del dio Ammone. Soprattutto il senso di apertura a mondi sconosciuti, a esperienze e ad incontri con le genti più diverse (proverbiale è divenuto quello con i sapienti indiani), l'assenza di qualsiasi pregiudizio etnico, il grande progetto - purtroppo soltanto un sogno - di unione e non di divisione tra i popoli fanno grandi l'eroe e il suo cantore - tale si sentiva Arriano nei confronti di Alessandro, quale Omero era stato per Achille - e rendono eterne, ancor prima che attuali, le pagine di questo libro.

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